su le piazze deserte e su le strade,
conosco la malinconia che invade
tutte le cose umide del suo pianto:
l'edera che intristisce su la loggia,
il fior di crisantemo e il dior d'acanto.
Spento è novembre, con l'illusione
dell'estate dei morti a San Martino;
ora trascorre il fiato decembrino
dove un sorriso tenue fiorì:
la terra è triste come una prigione
che tutte le speranze seppellì.
Domenica d'inverno, ecco il tuo pianto:
lacrime in cielo, fango su la terra;
ed uno stesso affanno vi rinserra,
anima nostra, anima delle cose!
E vi ricopre ora uno stesso manto,
anima nostra, anima delle cose!
Lasceremo passare questo giorno
fino al tramonto che non si vedrà,
com'alba non si vide, e sorgerà
un altro giorno, con la stessa pioggia
forse, e ci sembrerà quasi un ritorno
di questo che si stempra su la loggia!
Lunedì: giorno di lavoro. Noi
non guarderemo immobili con tetri
occhi l'acqua che crepita su' vetri,
e non diremo inutili parole.
Ma oggi, ch'è domenica! non vuoi,
anima, un po' d'azzurro, un po' di sole?
(Poesia di Tito Marrone tratta dalla «Rivista di Roma», del dicembre 1904)
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Tito Marrone (1882-1967) |
COMMENTO
Nei Poemi provinciali Marrone sosta con maggiore e forse più libera compiacenza sul lento morire di ciò che direttamente o indirettamente lo circonda nonostante la capacità vivificatrice del ricordo e del rimpianto. Ovunque egli vede dolore; sotto la pur effimera gioia, egli immediatamente individua una ragione di occultata malinconia. La domenica, che per molti è motivo di festa e di allegria, è per lui concentrazione di grigiore e di torpore, popolata da larve spettrali che lo assediano come allucinazioni.
(Da "Vent'anni o poco più" di Giuseppe Farinelli, Otto/Novecento, Milano 1998)
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