domenica 16 novembre 2014

Da "Controcorrente" di Joris-Karl Huysmans

Colto da un indefinibile malessere davanti a quei disegni come al cospetto di certi «Proverbi» di Goya, ch'essi richiamavano; colto dallo stesso malessere che gli dava la lettura di Poe - del quale Odilon Redon pareva aver trasferito in una altr'arte i miraggi allucinatori e le terrificanti suggestioni - egli si stropicciava gli occhi e rifugiava lo sguardo su una raggiante immagine, che schiudeva quasi una oasi di pace e di serenità fra tutte quelle tavole ossesse; una immagine della Malinconia, assisa di contro il sole, su rocce in atteggiamento triste ed abbattuto.
Per incanto, le tenebre si dissipavano; una seducente tristezza, una desolazione che non pungeva, non doleva più, scendeva nei suoi pensieri; meditabondo, s'indugiava a contemplare quell'opera che coi suoi punteggi a guazzo seminati nella matita grassa, metteva un chiarore di verde acqua e d'oro pallido nell'ostinato nero di tutti quei carboncini e di quelle incisioni.

(Da "Controcorrente" di Joris-Karl Huysmans, Mondadori, Milano 2013, p. 63)


Odilon Redon, "Melancholy"

domenica 2 novembre 2014

Canzonetta d'una sera di novembre

Gli orti son tutti pieni
di crisantemi bianchi
e di foglie cadute:
pe' silenzi sereni
vanno i ricordi stanchi
delle cose perdute.

Ancor l'ultimo sole
incendia una vetrata
laggiù: suonano l'Ave.
In un ciel di viole
la luna s'è levata
di dietro a Monte Cave.

Novembre. Ah, che veleno
in queste sere smorte,
quando nel cheto lume
pe' piani umidi il fieno
e l'erbe odoran forte
fra le nebbie del fiume!

Quando l'autunno infiora
come uno stanco aprile
l'asil romito ov'io,
solo, m'indugio ancora,
che veleno sottile
di ricordi e d'oblio!

Non tornerà l'assente
che nei vesperi molli
qui mi sedea vicino
(moria sì dolcemente
sovra i lontani colli
il giorno novembrino);

non tornerà più mai
in una sera stanca
giungendo di lontano
l'amica che obliai,
la buona anima bianca,
a porgermi la mano?

Troppe volte io l'attesi,
con la fronte che ardeva,
dietro al vecchio cancello,
e l'anima protesi
se la ghiaia strideva
sotto al piedino snello!

Troppe volte la sera
ho udito una romanza
passata ormai di moda
diffondersi leggera
per la tepida stanza
dal piano a mezza coda!

E troppe volte infine
io le vidi cadere
nell'ebbrezza profonda
rovescia su le trine
bianche dell'origliere
la bella testa bionda!

E quest'amore è morto.
Ove sarà l'altera
che tenne in signoria
i giaggioli dell'orto?
Non tornerà, una sera?
Non tornerai, Maria?


Commiato

I morti: ieri i Santi.
O mio cuore, è la sorte:
quel che fu santo ieri
oggi nei camposanti
custodisce la morte
fra le ghirlande e i ceri.



NOTA
Canzonetta d'una sera di novembre è la dodicesima ed ultima poesia della sezione Rime delle liete e delle tristi stagioni compresa nel libro di Guelfo Civinini (1873-1954): L'urna, Alighieri, Roma 1900. L'autore, noto non solo come poeta, la ripresentò anche nel suo successivo volume poetico uscito più di dieci anni dopo: I sentieri e le nuvole, Treves, Milano 1911. Qui si notano il cambiamento del titolo (Canzonetta novembrina) e alcune modifiche del testo. La stessa poesia, nella prima versione, fu inserita anche nell'antologia curata da Glauco Viazzi: Dal simbolismo al déco, Einaudi, Torino 1981.




sabato 1 novembre 2014

I santi di ghiaccio

Tre santi, tre signori
di ghiaccio, tre pallori,
dormon, gli occhi socchiusi, dentro grotte
lontane, e solo a notte
sporgono fuori i volti.
Stanno d'attorno accolti
accidiosi e torpono i paesaggi.

Attendono quei saggi
l'inverno per lasciare la dimora.
Poi vanno ove scolora
la neve in bianco i campi ed i paesi,
a chiedere cortesi
un rifugio alle genti.
Ma dovunque si volgan quegli accenti,
ghiaccian uomini e cose.

Cercano popolose
contrade, e per le ville
lasciano a mille a mille
le vittime. Colpite
di gelo, irrigidite
formano lunghe file sul cammino.
Volgon le piante in pietre: e l'occhio sino
all'estremo confine
scorge solo rovine
di cose già vissute ed ora morte.
Ma quando le sue porte
apre nel cielo primavera, scioglie
il sole dalle spoglie
rigide quei ghiacciati.

Tornano allora i tre agli abbandonati
luoghi e alle grotte,
donde soltanto a notte
sporgono i visi bianchi.
Quivi riposan quei tre corpi stanchi,
sin che li chiami un novo
inverno fuori del lontano covo.

(Pier Angelo Baratono)




NOTA

I santi di ghiaccio è la poesia II della sezione Fiabe di Novalba che Pier Angelo Baratono firma in Sparvieri, di Ad. e P. A. Baratono, con acquaforte di E. De Albertis, edito dagli autori, Genova 1900, pp. 46-47.
PIER ANGELO BARATONO (Roma 1880 - Trento 1927). Appena ventenne pubblicò insieme al fratello Adelchi, il suo unico volume di versi: Sparvieri (1900); si dedicò poi alla critica letteraria e alla scrittura di romanzi e novelle di argomento comico. Le sue poesie anticipano in parte i temi delle sue prose caratterizzate dalla descrizione di personaggi singolari e misteriosi.

(dall'antologia: "Dal simbolismo al déco", Einaudi 1981 e dal blog "cose e ombre")