mercoledì 30 gennaio 2013

Il giovane giardiniere e l'Angelo della Morte


Il giovane giardiniere si precipita spaventato dal Padrone e gli grida: «Padrone, padrone, dammi il più veloce dei tuoi cavalli, affinché possa stasera trovarmi a Teheran!».
Risponde il Padrone: «Perché tanto spavento?».
«Ho incontrato un momento fa nel giardino l'Angelo della Morte che mi ha fatto un gesto di minaccia».
Il Padrone concede subito al fanciullo il più rapido dei suoi corsieri, e quegli si lancia subito al galoppo nella direzione voluta.
Il Padrone scende in giardino, dove trova l'Angelo della Morte. Gli chiede: «Perché hai fatto un gesto di minaccia al mio giovane giardiniere?». «Non era un gesto di minaccia, ma un gesto di stupore, per vederlo ancora qui, mentre devo incontrarlo stasera a Teheran!».

(Aneddoto persiano)



domenica 27 gennaio 2013

Buna


Piedi piagati e terra maledetta    
Lunga schiera nei grigi mattini. 
Fuma la Buna dai mille camini,
Un giorno come ogni giorno ci aspetta.  
Terribili nell'alba le sirene:
"Voi moltitudine dai visi spenti, 
Sull'orrore monotono del fango
È nato un altro giorno di dolore".

Compagno stanco ti vedo nel cuore,
Ti leggo gli occhi compagno dolente. 
Hai dentro il petto freddo fame niente   
Hai rotto dentro l'ultimo valore.   
Compagno grigio fosti un uomo forte,   
Una donna ti camminava al fianco. 
Compagno vuoto che non hai più nome, 
Uomo deserto che non hai più pianto,
Così povero che non hai più male,  
Così stanco che non hai più spavento,
Uomo spento che fosti un uomo forte:   
Se ancora ci trovassimo davanti   
Lassù nel dolce mondo sotto il sole, 
Con quale viso ci staremmo a fronte?  

28 dicembre 1945

(Primo Levi)



sabato 26 gennaio 2013

Ieri


Tutto adesso è passato.
Ma non ho visto mai simile urgenza
di baci, tanta ingordigia d'amore
come dentro i tuoi occhi, mia città.
Così violenta la felicità
da far mancare il fiato.

Eri ancora Vicenza,
non ti eri ancora capovolta (Aznèciv
ora il tuo nome a specchio dello stagno del cuore).

(Fernando Bandini)




giovedì 24 gennaio 2013

La tristezza dell'abete


Arduo da cinquecento anni su questo
Balzo! Sonora bulica la valle:
Qui odo in terra, nel silenzio agresto,
Ruzzolare le mie fragili galle.

A volte, su la chioma aspra, un rombazzo
D'ali e di strida, un turbinio di piume
Sparpagliate per l'aria, uno svolazzo
Rapido; e neri nel solfureo lume

Del tramonto si spianano due falchi
In tarde rote spaziando. L'ombra
Sale più fosca per i vacui palchi
Che gran frondura inutilmente ingombra.

Ma non un nido mai ch'émpia di festa
Rissosa, a' primi fiati marzolini,
La vecchia anima mia, severa e mesta
Come una casa vuota di bambini.

Non una mandria che frescheggi al rezzo
De' lenti ombrelli miei, biasciando in pace,
Mentre divampa il solleone a mezzo
Luglio, e vibrante la campagna tace.

E né pure una róncola che i rami
Odorati m'abbatta, onde potessi
Gajo fiammando stirizzire i grami
Bifolchi curvi in lor gabbani spessi

Sul fuoco: un incessante scarpiccìo
Di pioggia, dietro l'uscio: alla lucerna
Donne filano, e alcuna in suo desio
Pensosa, canti con sospiri alterna.

Nulla. L'immensità: cerula, eguale,
Impalpabile. Il vento, con sue frotte
Labili varca, e qualche iniziale
Musica reca in sue sillabe rotte,

Nell'ombra intenta gli astri calmi e fissi
Mi guatano, e stillare io me ne sento
L'infinita scienza degli abissi.
La sacra verità del firmamento.

Ma non basta Orione a farmi lieto
Come il trillo d'un tinnulo usignolo
Qui presso; e gemo nel mio cor segreto
D'essere troppo eccelso e troppo solo.

(Giovanni Alfredo Cesareo)



mercoledì 23 gennaio 2013

Silenzio


Mi stringo a te, raccolto 
Come un bimbo, e reclino 
Il mio presso il tuo volto... 
O silenzio divino! 

Da qualche lontananza 
Giungono suoni tardi, 
L'ombra invade la stanza, 
Gli occhi non hanno sguardi.

È fuggito il dolore; 
Le memorie son calme: 
Passano, come suore 
Col viso tra le palme. 

Ogni altra cosa è vaga. 
Il fiume vorticoso 
Della vita dilaga 
In un grande riposo. 

Quasi una meraviglia 
Infantil mi riempie, 
Sentendo le tue ciglia 
Batter su le mie tempie. 

Sei tu, sei tu, qui presso? 
Dopo tante preghiere 
Giungesti! e t'è concesso 
Dunque di rimanere? 

Sì, per sempre. Nessuno 
Oserà farti triste... 
Fuor che noi due nessuno 
Sopra la terra esiste!

(Francesco Pastonchi)



martedì 22 gennaio 2013

Medio Evo


Nella gran torre presso la laguna tremava l'arpa, il flauto sospirava, la castellana pallida ascoltava chinando al suolo la pupilla bruna.
Due trovadori, entrambi giovanetti, suonavano una tenera ballata; la luna, entrando per l'invetriata, ne illuminava gli avvenenti aspetti.
Diceva l'arpa:

                    «Pallida signora,
son gli occhi vostri diamanti rari,
io vorrei valicare e monti e mari
per il piacer di contemplarli un'ora».
E il flauto soggiungeva:
                    «I labbri vostri
hanno l'olezzo de le rose in fiore;
per un loro sorriso il rio furore
sfiderei di mille armi e mille mostri».

L'arpa seguitò ancora il gemer lento con gentil mormorìo blando e occulto; emanò un suono che parve lamento il flauto, e tacque poi con un singulto.
..................................................
Fuori urlava la raffica; la luna le gotiche invetriate illuminava; la castellana, pallida, ascoltava e aveva lampi la pupilla bruna.

(Remo Mannoni)



sabato 19 gennaio 2013

Era una mattina d'estate...

   Era una mattina d'estate, calda e accecante. Camminavo piano, e sempre di più la natura mi pareva un sogno immenso della mia anima. Il cuore mi batteva di contentezza. I cipressi, uscenti dalle siepi dei poderi, attorno alle case tutte impergolate, in Toscana, parevano piantati lì dall'aria stessa.
   Odori di ginepri, di marruche, di sanguinelle, di mentastri! Sopra un muricciolo, vidi un ramarro. Mi fermai, perché non scappasse. Allora, guardando i suoi occhi paurosi e intelligenti, provai una delusione dolorosa: e feci il viso rosso di vergogna.

(Federigo Tozzi)