sabato 10 settembre 2016

Finestrella

O nera finestrella di gerani
e di rossi garofani fiorita,
che a la fanciulla povera e polita
ridono mentre l'ago ha tra le mani,

vedi? la luna pende sul cortile,
sfavilla il cielo e palpita ogni stella,
stende l'ombra in piazzetta il campanile;

odi? la gaia gioventù stornella
per la villa splendente, e tu, gentile

e pudica, stai chiusa, o finestrella.



COMMENTO
Emilio Girardini (1858-1946) è uno di quei poeti che, pur essendo dotati di un talento non indifferente, sono stati quasi totalmente ignorati dalla critica letteraria, per motivi che riguardano la sua estraneità alle mode dei tempi, ovvero per il fatto che Girardini, così come altri suoi contemporanei, non seguì quelle correnti tanto in voga all'inizio del Novecento, quando, anche lui, cominciò a pubblicare i suoi versi. Finestrella è una breve poesia che fa parte della raccolta Ruri (1903), la prima del poeta friulano che in seguito fece uscire Liriche varie (1908) e Chordae cordis (1920), mentre, postumo fu pubblicato il ricapitolativo Poesie (1952). Tornando alla poesia qui sopra riportata, si tratta di un madrigale che mostra alcune peculiarità appartenenti alla poesia di Giacomo Leopardi e, in parte, a quella di Giovanni Pascoli. Il Leopardi è presente per la riottosità e la malinconia trasmessa dall'immagine di una piccola finestra chiusa, anche quando tutt'intorno si vive in un'atmosfera gaia e spensierata; il Pascoli per l'ambientazione che assomiglia a quella di molte poesie appartenenti alla raccolta Myricae, con piccoli paesi quasi incantati e personaggi (simili alla fanciulla povera) umili, magari intenti nei loro minuziosi eppur semplici lavori.



Telemaco Signorini, "Una mattina di settembre a Settignano"
(da https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18804505)

lunedì 18 luglio 2016

Onde

Nella notte solo il mare mai non tace: senza posa mugghia e romba, e da lungi alla riva volge l'onde fragorose.

Tremano i vetri; trema il cuore: e il pensiero dal profondo volge mute altre onde tumultuanti ad altre sponde.

A questo lido da gran tempo frangon l'onde non mai stanche: a quei lidi oh da quando frange l'onda del pensiero?



COMMENTO: Questa breve poesia in prosa di Mario Novaro (Diano Marina 1868 - Ponti di Nava 1944) si trova alla pagina 51 della prima edizione dell'unica raccolta di versi pubblicata dallo scrittore ligure: Murmuri ed echi, Ricciardi, Napoli 1912. Questo libro, che inizialmente conteneva poche poesie in versi e in prosa, cogli anni fu ampliato e modificato dall'autore; tant'è che ne uscirono altre tre edizioni, fino alla definitiva del 1941. Anche la prosa poetica sopra riportata ha subito delle modifiche, divenendo nella stesura definitiva una vera e propria poesia. Eccola:

Nella notte solo il mare
mai non tace,
senza posa mugghia e romba,
e da lungi alla riva
volge l'onde fragorose.
Tremano i vetri,
trema il cuore:
e il pensiero dal profondo
volge mute altre onde
tumultüanti ad altre sponde.
A questo lido da gran tempo
frangon l'onde non mai stanche:
a quei lidi oh da quando
frange l'onda del pensiero?


Riguardo al contenuto, si tratta di una meditazione fatta dal poeta durante una notte trascorsa in riva al mare. Ascoltando le onde che si frangono sulla riva producendo, per tutta la notte, un rumore continuo, Novaro mette a confronto le acque in movimento col pensiero, anch'esso in continuo movimento verso altri tipi di sponde. Verso quali sponde si rivolge il pensiero del poeta e ancor più del filosofo Novaro? Probabilmente le sponde dei motivi esistenziali, dei perché più inquietanti riguardanti la nascita, la vita e la morte degli uomini. Ma questa è soltanto un'ipotesi: quei tumultuosi, ripetuti e angosciosi pensieri rimangono, per noi lettori, un mistero.