sabato 31 agosto 2013

Al sonno

Viene la morte, sorella taciturna, ogni sera a trovarmi,
s'accosta coi suoi leggeri piedi calzati di buio velluto,
di tutte le mie tristezze viene a racconsolarmi,
e perdo ogni mio pensiero adorato o temuto.

Ed io, che so, m'accosto con cuore giulivo a ogni sera,
con anima stanca e ansiosa di folle libertà,
e guardo sorridendo, di tra l'oscurità,
venire l'amante bruna, mite, soave, leggera.

- Addio - mormoro allora - odii ed amori, addio!
per quella via che imbocco voi non potete seguirmi... -
E con la bocca ansiosa, sentendo la vita fuggirmi,
bacio le tue labbra dolci, sonno, abbandono, oblio...

(Francesco Di Chiara)





Francesco Di Chiara nacque a Palermo il 6 febbraio del 1905. Sconosciuta è la data della sua morte. La sua raccolta poetica più importante uscì nel 1929 per le Edizioni del Ciclope col titolo Fiabe e consacrazioni. Dei suoi pregevoli versi si occuparono vari critici tra i quali anche Pietro Mignosi.

lunedì 26 agosto 2013

Silenziosa musica di luna

Silenziosa musica di luna
permeandomi l’anima d’incanto,
io lascio la città pel camposanto,
dove melanconia suoi fiori aduna.

E là mi giova rinverdir col canto
tutte le mie speranze ad una ad una,
o, meditando sulla mia fortuna,
con ansia ascoltar salire il pianto.

Melanconica sede! ma fiorita.
Colà si dorme in grembo della morte
che ci ristora per un’altra vita.

E quella dolce musica di luna
fa ch’io pensando alle persone morte,
m’aspetto, quasi, d’incontrarne alcuna.

(Da "Intimi vangeli" di Giulio Gianelli, Streglio, Torino 1908)





Cuore semplice e ingenuo, Gianelli nulla sa delle infinite morbosità spirituali di chi ha troppo vissuto, di chi ha amato ignobilmente, di chi ha abusato del purissimo tesoro che è il sentimento, di chi, mentendo in nome dell'amore, ne volge la virtù benefica in forza malefica.

(Carlo Calcaterra in "Una pagina di vita letteraria torinese. Giulio Gianelli", 1909)


domenica 18 agosto 2013

Piccole e grandi emozioni

I primi raggi di sole del mattino sui muri delle case.
I luoghi dell'infanzia.
Le vecchie foto di persone care.
Rivivere con la mente le cose perdute per sempre.
Piangere di malinconia.
Le poesie di Giacomo Leopardi.
I quadri di Claude Monet.
Un pesco fiorito.
Un prato tutto verde.
Il giardino pieno di fiori colorati.
Il silenzio immenso del bosco.
Il rumore dei grilli durante una afosa notte estiva.
Una farfalla variopinta che si posa su di un fiore.
Un gattino che miagola.
I passerotti che beccano le mollichine sparse in terra.
I gabbiani sulla spiaggia.
Le rondini che volano nel cielo sereno.
L'arcobaleno.
Il mare che luccica in un caldo pomeriggio estivo.
Un tramonto sul mare.
La luna piena che riflette i suoi raggi sulle acque del mare.
Bere l'acqua che fuoriesce da una sorgente montana.
I grandi alberi che lentamente si muovono col vento.
Il sole visto attraverso gli intrichi dei rami di una pineta.
Un viale coperto di foglie gialle.
Il grigiore malinconico cittadino dopo un tramonto invernale.
La tristezza dei fanali illuminati in una sera autunnale piovosa.
La facciata di una bellissima chiesa in un mattino estivo.
Una rosa bianca.
L'Adagio di Tomaso Albinoni.
Le canzoni di Jacques Brel
La incomparabile bellezza di una donna.
Ritrovare un inaspettato divertimento nel gioco.
Le bolle di sapone che volano verso il cielo azzurro.
Il suono delle zampogne che intonano una canto natalizio.
Ricordare un sogno meraviglioso.

domenica 11 agosto 2013

I giocatori

Giocavano su un pezzo di terra
i contadini a carte d'azzardo.
Uno aveva nei denti il veleno
della vittoria e uno
nascosto nella manica
un coltello quanto il braccio.

Venne la luna, vela
sui colli ancora bruni
tra i cerchi del tramonto
e al vincitore i fanti
le donne e i cavalieri
tracciarono una via
perduta ai boschi e illuminata ai lampi
dell'arma inseguitrice.

Alta e sonante in limine,
la vittoria è uno stelo
delle gocce di fiele.

(Da "Nubi" di Domenico Rea, Società Editrice Napoletana, Napoli 1977)




Domenico Rea nacque a Napoli nel 1921 e ivi morì nel 1994. È famoso per la sua narrativa (racconti e romanzi) di ispirazione neorealista. Pubblicò anche qualche volume di versi in cui si definì in tale (modesta) maniera: «Ho qui raccolto questo manipolo di versi scritti nel corso di decenni quale umile omaggio all'inimitabile arte della poesia riservata a pochi eletti. Si considerino pertanto come schizzi e note ai margini del mio lavoro di scrittore in prosa».
Opere poetiche: "L'altra faccia" (1965), "Nubi" (1977).

La domenica della signora Lalla

Quando l'anima è stanca e troppo sola
e il cuor non basta a farle compagnia
si tornerebbe discoli per via,
si tornerebbe scolaretti a scuola.

Oh sì! prendiamo la cartella scura,
il calamaio in forma di barchetta,
i pennini, la gomma e la cannetta,
la storia sacra e il libro di lettura.

E ripetiamo: "S'ode.... s'ode a destra
uno squillo di tromba...", per la via,
o il «Cinque Maggio» o l'altra poesia
che dovrem dir tra breve alla maestra.

Andiamo, andiamo! Il tema è messo in bella!
Andiamo, andiamo! Il tema è messo in buona!
Dio, com'è tardi! La campana suona....
Fra poco suonerà la campanella....

Ma che dico ? È domenica, è vacanza!
Non c'è scuola, quest'oggi: solamente 
c'è da imparare un po' di storia a mente
soli, annoiati, nella propria stanza.

C'era una volta - ora mi viene a mente -
la scuola della festa. Era una scuola
alla buona, così, con una sola
maestra, vecchia, senza la patente.

Signora Lalla, dove sei? T'aggiri
nella tua casa piena di panchetti
o su un quaderno scrivi un 5 e metti
un punto sopra un "i", con due sospiri?

Signora Lalla, hai più nella tua stanza
quel piccolo Gesù di cartapesta
e quei presepi ch'erano la festa
dei bimbi che facean da te vacanza?

Signora Lalla, hai più quel mio ritratto
ch'io ti donai per Santa Eulalia? E quella
treccia, in un quadro, d'una tua sorella
defunta? E l'altarino è ancora intatto?

Forse, sei morta. Ed i tuoi strani oggetti
sono scesi con te, con la tua spoglia
entro la fossa. La tua casa è spoglia
dei quadri, dei presepi, dei panchetti.

Che importa? Io t'amo, e tu sei viva, o muta
imagine che guardi i miei quaderni
d'ora e i noti caratteri vi scerni
con uno sguardo di sopravvissuta!

Come son vani, come son diversi,
signora Lalla, i miei compiti d'ora!
Dimmi, vuoi riguardarmeli tu ancora?
Sembra uno scherzo, ma son tutti in versi....

(Da "Poesie 1905-1914" di Marino Moretti, Treves, Milano 1919)






Marino Moretti non ama che il suo passato; e questo passato consiste negli anni di scuola e preferibilmente di scuola elementare. Alla prima infanzia il poeta ripensa con invincibile fissità, con una tenerezza fra commovente e scimunita e, componendo quartine sul sillabario, sulla maestra sui nomi dei compagni allineati in ordine alfabetico, riesce a darci cose di una futile ma inquietante e squisita delicatezza. Leggendo la "Signora Lalla" o il "Sillabario", non è possibile, pur mentre si respinge quell'ozioso fantasticare, comprimere un sorriso di affettuosa simpatia.

(Giuseppe Antonio Borgese in "La vita e il libro", II serie, Bologna 1928)

sabato 10 agosto 2013

Vieni con me

Vieni con me, ti porto 
ai miei orti d’ autunno senza foglie: 
c’è ancora il fermo sole dell'estate 
che dà luce e calore, 
c’è ancora qualche flore 
a consolare le nostre giornate.

Non ti trattenga al tuo livido scoglio
il brivido del mare:
sono amare le rive senza vele
e le onde travolgono gli alcioni;
ma nei miei orti rondini e rondoni
stridono ancora, e sono illesi i cieli.

Vieni con me, togliti dal groviglio 
dei tuoi pensieri grami; 
nell'intrico dei rami, anche se spogli, 
rileggeremo candide parole 
forse... A quel certo tepore di sole 
vieni, che sarà dolce il nostro esilio.

Non tardiamo: ci attendono le siepi
e già nei solchi trepidi c'è seme;
finge il tramonto l'albe dell'aprile:
come olivi stormiscono i ricordi.
Lascia le tetre rive: andiamo insieme
nell'incanto autunnale dei miei orti.

(Da "Il fresco presagio" di Gherardo Del Colle, De Ferrari, Genova 2008)




Gherardo Del Colle (nome d'arte di Paolo Repetto) nacque a Cesino nel 1920 e morì a Pontedecimo nel 1978. Diventò francescano nel 1935 e poi sacerdote nel 1942. Pubblicò vari volumi di versi lungo l'arco intero della sua vita dimostrando un grande amore per la poesia.
Opere poetiche: "Rosso di sera" (1946), "Biancospino" (1957), "Sotto la gronda" (1964), "L'angelo dei suburbi" (1971), "Poesie" (1975), "Il fresco presagio. Poesie 1937-77" (postuma 2008, comprende tutte le poesie edite e inedite di Del Colle).

giovedì 8 agosto 2013

Seguirò il mio Angelo

Quando tutto sarà in ordine
io seguirò il mio Angelo
che mi porterà nel paese
dove il sole non tramonta,
dove tutti si vogliono bene
e le pupille degli uomini
sono chiare come quelle dei bimbi.
Nel paese donde attinsi le voci
della mia poesia, dove mi rifugiai
sempre, dove ritroverò quelli
che mi hanno preceduta.
È questione di attesa.
L'istante è nella mente di Dio.
Se la fiaccola arderà nella notte
seguirò il mio Angelo,
che mi porterà per mano, lieve.

(Da "La carta dispari" di Donata Doni, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968)



Donata Doni (nome d'arte di Santina Maccarone) nacque a Lagonegro nel 1913 e morì a Roma nel 1972. Laureatasi in lettere a Padova, professò l'insegnamento in varie scuole italiane. Si trasferì poi a Roma dove lavorò presso il ministero della pubblica istruzione. Coltivò l'amore per la poesia fin dalla prima gioventù ma cominciò a pubblicare i suoi versi ben oltre i trent'anni. Si spense in seguito ad una grave e lunga malattia.
Opere poetiche: "Orme di nubi" (1949), "L'alba che ignoro" (1954), "Il pianto dei ciliegi fioriti" (1963), "La carta dispari" (1968), "Il fiore della gaggìa" (postuma, 1973),  "Neve e mare" (postuma, 1973).


mercoledì 7 agosto 2013

Lungo la Bormida

Un poco d'ombra, e il cuor trasogna. Sono
colore d'ombra, azzurrate e così
pure, queste mie mani: trasfigurano.

Certo, d'uguale trasfigurazione
s'è fatto arcano il mio volto, ed è calmo
sovranamente: la maschera d'ombra
reca nuovi pensieri,
felicità. Pensieri? sono tenui
come nubi serene nel sereno,
cosa diversa e senza nome, e insieme
con loro io mi diffondo nel respiro
silenzioso audibile del mondo.
E, vagamente, non so se non questo:
che, come un petto umano unico, il mondo
respira, e anch'io secondo questo ritmo,
anch'io son parte di questo respiro.

A me stesso ritorno solamente
per sognare un bel sogno: essere qui
sepolto, senza bara, e alimentare
l'alto vigore d'un albero snello?

(Da "Per non morire e altre poesie" di Aldo Capasso, Berben, Modena 1947)




Aldo Capasso nacque a Venezia nel 1909 e morì a Cairo Montenotte nel 1997. Dopo la laurea in letterature moderne conseguita a Genova nel 1931, si dedicò pienamente alla critica letteraria e alla poesia, collaborando alla «Nazione» di Firenze, al «Corriere della Nazione» di Roma e dirigendo la rivista «Realismo lirico».
Opere poetiche: "Il passo del cigno e altri poemi" (1931), "Il paese senza tempo" (1934), "Cantano i giovani fascisti" (1936), "17 poesie" (1939), "Per non morire e altre poesie" (1947), "Poemetti in prosa" (1951), "Formiche d'autunno" (1952), "Recitativi, quasi meditazioni" (1958), "Turno di notte e altri poemetti in prosa (1963).

Ore sole

Dal tetto cadon giù 
un dopo l'altra l'ore:
le lascia giù cadere
l'orologio a martello,
in colpi secchi, uguali,
tutte sul mio cervello.
E ognuno di quei colpi
m'è come una puntura,
come se mi strappassero un capello.
Ore sole come solo pane, 
per oggi e per dimane, 
e per tutti i giorni 
di tutte le settimane.
Mattutine, vespertine,
popolate da campane
vicine e lontane.
Ore del sole, 
che non ridete
a chi v'aspetta sole.
Ore grigie, ore nere,
silenzio delle campane
vicine e lontane.
Vien da qui presso
spampanato il coro
dell'antico convento 
delle Nazarene,
sfogano in coro le loro pene
a tutte le ore,
anche per esse l'ore son sole.
«Al Ciel, al Ciel, al Ciel! 
La Gloria o Signor!»
Ore della notte, 
ore del sole,
uguali tutte
che non ridete 
a chi v'aspetta sole.
Ore sole come solo pane,
per oggi e per dimane,
e per tutti i giorni 
di tutte le settimane.

(Da "Poemi" di Aldo Palazzeschi, Ed. di Poesia, Milano 1909) 




Per Henri Bergson «la durée réelle est ce que l'on a toujours appelé le temps, mais le temps perçu comme indivisible». In chiave comica Palazzeschi enuncia la tesi contraria: il tempo è divisibile, viene vissuto come entità misurabile: le ore cadono sul cervello, ognuna di esse strappa un capello. Ore sole esprime l'ennui del rentier, di chi è escluso dal processo produttivo; ma al tempo stesso la noia, come «disperazione oggettiva», dilaga sul mondo, anche su coloro che lavorano. Il sempreguale s'intronizza dispotico: Palazzeschi in questa e in altre composizioni, a modo suo, cioè quanto più possibile lontano dalla metafisica, ne sancisce l'ecumenicità.

(Da "La nascita dell'avanguardia" di Luciano De Maria, Marsilio, Venezia 1986)

domenica 4 agosto 2013

Chi mai confuse la morte con il sonno

Chi mai confuse la morte con il sonno:
l'addormentato non è un animale,
nel sonno la parola non scompare,
la jena lascia chi dorme, ruba il morto;
nel sonno la parola non scompare,
l'addormentato non è un animale:
chi mai confuse la morte con il sonno.

(Juan Rodolfo Wilcock)




JUAN RODOLFO WILCOCK (Buenos Aires 1919 - Lubriano 1978)
Nato in Argentina da padre inglese e madre di origine italiana, si trasferì in Italia nel 1958. Collaboratore, fra l'altro, del «Mondo», «La Nazione», «La Voce Repubblicana», è autore di varie raccolte di poesie, alcune delle quali pubblicate in Argentina, in lingua spagnola, e poi in parte tradotte da lui stesso in italiano.
Opere poetiche in lingua italiana: "Luoghi comuni" (1961), "Poesie" (1963), "La parola morte" (1968), "Italienisches Liederbuch. 34 poesie d'amore" (1974), "Poesie" (1980).  

(Da "Dizionario della letteratura italiana del Novecento", diretto da Alberto Asor Rosa, Einaudi, Torino 1992)

sabato 3 agosto 2013

Convalescenza

Il primo sole dopo tanta attesa!
Oh, come dolce, come puro! Sente
d'infanzia... la sua carezza è scesa
fino al mio letto, e reca odor di mente...

Voglio levarmi... Ma tu sai: l'offesa
dell'aria è grave e mamma non consente...
Oh! quanta luce! L'anima n'è presa,
ma troppo sole pel convalescente!

Chiudi le gelosie, piccola rete
verde, che al sole, al gran fanciullo biondo,
ruba qualche sua ciocca, e me la porge;

e giuoco e la mia mano non s'accorge
ch'intreccia l'oro, e l'occhio nel profondo
letto veglia le tristi ombre segrete...

(Da "Le piccole morte" di Fausto Maria Martini, Streglio, Torino 1906)




Il tema della malattia e della convalescenza in chiave crepuscolare sospende lo stesso scorrere dei giorni (ogni giorno è nessun giorno) e si apre su una condizione di inerzia espressa con termini solitamente privi di consistente riferimento materiale. Sicché il crepuscolarismo di Martini, anche attraverso una valutazione approssimativa, appare ormai definito almeno in una delle sue componenti essenziali, in quanto la condizione di inerzia, divenuta immagine, delimita l'orizzonte artistico del poeta, ancorato alla minuta analisi del peso della quotidianità, in cui il colloquio, l'ironia e il passato restano motivi di inciampo e pressoché statici.

(Da "Vent'anni o poco più" di Giuseppe Farinelli, Otto/Novecento, Milano 1998)