lunedì 29 luglio 2013

Un'ora dolce

Non so che cosa sia
ma sento che la vita mia
è diventata tutta tenerezza.
Il cuore è senza un grido di terrore,
oggi. Il mare si riposa:
non canta il mio dolore e gli sorrido.
Che giorno di dolcezza!

Allora non dicevo questo. E’ vero.
L’anima in convalescenza
è tutta sogno, tutta trasparenza.
Sente la sensazione anche più fina.
Ci credi? Una mattina
a Fiumicino credevo che il sangue del cuore
mi fosse diventato tutto nero.

E bene mi rammento ch’era vero.
Malattia, malattia!
Ma son tornato, come te, normale.
Né ti parlo del mio male
più. Non vedi che sono guarito?
Oggi il mio cuore l’ò tutto addolcito
da tante sensazioni nuove e strane.

Dolcezze, tenerezze alte del cielo!
Oggi ò sognato il timo e l’asfodelo
de le tue tanche lontane.
Il cielo è senza nuvole ed il mare
bacia la rena e canta e vuol cantare.
Mi sento fresco come un rivo e canto
anch’io come una quercia del tuo bosco.

Oh sono uscito da un abisso fosco
d’incubi e di paure,
fratello, fratello!
Ò fatto paura a te pure,
vero? Ero il terrore muto!
Tu pure ài creduto 
che uccidessi o m’uccidessi.

Rammento. Quanti mormorii sommessi
quando camminavo solo
col dolore!
Ma come avvenne? Io non avevo mai
cantato ed ecco a tutto quel dolore
cantavo come canta un rosignolo
che muore tra i rosai.

Facevo pena: forse anche atterrivo.
Morivo e non morivo.
Quando passavo v’era anche qualcuno
che udiva il rimbombare d’un martello
sui chiodi di una bara.
Forse la stessa sensazione amara
l’avevi tu pure, fratello!

Ma non ti parlerò di questo male
più. So che tu sai.
Io sono un altro. Ò dentro gli occhi un lampo
di Sole. Il campo
è verde. Io vò tra questo vegetare
e penso ancora a te che fosti un rude
lavoratore.

Oh, la gioia delle braccia nude
nel Sole! Camminare sotto il sole,
Lavorare e lavorare e non udire
la noja de l’ore,
sentirsi bagnare la fronte
di molto sudore,
e stanchi cercarsi una fonte.

a mezzo dì, per riposarsi, quando
le cince e le cicale
cantano pazze di sole!
Ora lo so come mi fece male
il veleno di tante parole
scialbe, isteriche, dette a la penombra
di qualche salottino

profumato di muschio, di belzoino,
e pasciuly!
Troppo mi piacque ciò ch’era snervante;
le cipria e il rossetto e l’artefizio
fino de le parole. Sono stato
io pure un damerino verniciato
un seduttore esperto ed elegante.

E poi venne il supplizio.
M’ammalavo senza l’aria!
Ed ora m’àn guarito il mare il sole.
Credimi: in Fiumicino
ò ricordato spesso il tuo passato,
tutte le tue parole 
velate di saggezza e di bontà.

Il cuore mio lo sa
come ànno lavorato le tue braccia,
ne l’arsura
del monte, de la tanca e de la duna
bianca e deserta lungo la marina.
T’ò invidiato.

Ma ora sono tanto mutato!
Distinguo come te la foglia dalla foglia,
canto da canto, amo gli uccelli e i fiori,
e un giorno anch’io li chiamerò fratelli
come tu fai 
i piccoli lavoratori 
i luridi mendichi.

Io pure so la via
migliore. Oggi, se lungo il sentierolo
di questa prateria
trovo qualcuno che si duole, io pure
avrò quel suo dolore nel mio cuore:
non sarà solo.
Io sono la dolcezza.

Ah sento che la vita mia
è diventata tutta tenerezza.
Non so che cosa sia,
ma il cuore è senza un grido
di terrore. Il mare si riposa:
non canta il mio dolore oggi. Sorrido.

(Poesia di Yosto Randaccio tratta da "La Vita Letteraria", giugno 1905)




YOSTO RANDACCIO (Cagliari, 1880 - Roma, 1965)

Di origine sarda, fratello della medaglia d'oro Giovanni, l'eroe del Timavo, trascorse in Roma la giovinezza, frequentando l'università della capitale e partecipando al circolo letterario che viveva attorno a Corazzini e collaborava a "La Vita Letteraria", "Rivista di Roma", "L'Italia moderna"ecc. I suoi versi si leggono sulla "Vita Letteraria"; il Mannoni lo dà come suo collaboratore a "Primo Vere"; ma ci mancano altri testi documentali della sua attività letteraria. È comunque ricordato da Donini per le sue parentele spirituali con Corazzini ed è più spesso evocato da vecchi sopravvissuti di quel cenacolo romano.
L'unica raccolta delle sue poesie è la seguente:
"Poemetti della convalescenza", Cagliari, Tip. Meloni-Aitelli, 1909.

(Da "I Crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Ed. del Borghese, Milano 1966) 

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