giovedì 4 luglio 2013

La psicologia dei ritratti

Ne le cornici d'ebano, i ritratti
quante storie secrete si raccontano
piano, tra loro, quanti mesti fatti
i cui ricordi friabili già smontano!

In un quadro le dagherrotipie
ritraggon tutte de le vecchie dame,
de le dame da le fisionomie
vizze e da le gonnelle col fiorame:

de le duchesse con il guardinfante
e i larghi sboffi, e la scriminatura,
qualche riproduzione d'un Infante
biondetto da la torva guardatura.

In un altro de le fotografie
moderne mostrano dei neonati
e de le placide fisionomie
d'avole e di defunti dissanguati:

una vecchietta porta una sottana
fuori di moda, una pettinatura
di foggia ingenua, un'altra una collana
di coralli di nobile natura;

un bel giovine (che sia morto etico?)
perpetua la tristezza del suo sguardo,
una sposa in un suo dito ermetico
tiene un anello d'argento, testardo

testimone d'una felicità
seppellita da chissà mai quanto!
(quel corpo fatto per la voluttà
ora è cenere dentro un camposanto...)

Pupille ancora vive, labri
come sfogliati, rughe approfondite,
e pomelli digiuni di cinabri,
chiome svanite, mani rattrappite.

Un bambolino, morto, sul suo letto,
pallido, sotto il vetro à il suo mannello
di capelli e sul bianco lenzuoletto
contro il cuore il giocattolo novello.

Qualche educanda d'un conservatorio
regge in mano con edificazione
un parrocchiano lucido d'avorio
o il bouquet de la prima comunione.

(Da "Armonia in grigio et in silenzio" di Corrado Govoni, Lumachi, Firenze 1903)



COMMENTO

In La psicologia dei ritratti Govoni raccoglie tutta la sensibilità e i motivi della poesia crepuscolare.
La presenza di due oggetti emblematici, di due stagioni e tempi diversi: i ritratti nelle cornici d'ebano e le moderne immagini in fotografia nei cui spazi ridotti possiamo ritrovare come in uno scrigno segreto, tutto da esplorare, tante e tante vicende che raccontano uno stile di vita, un modo di vestirsi e di acconciarsi, ma che rivelano, prospettivamente, anche la sottile malattia di un bel giovane e la sua morte, la vanità della bellezza sfiorita dal corpo, un tempo voluttuoso, di una giovane sposa. Tutto ciò è detto e riferito in sequenza da Govoni con impercettibile rimpianto.

(Da "Invito a conoscere il crepuscolarismo" di Antonio Quatela, Mursia, Milano 1988)

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