martedì 9 luglio 2013

Il giardino del dolore

Il dolore mi ha fatto un giardino di anemoni e gigli. Lo chiudono aspre mura di diaspro sanguigno, un altissimo giro di pioppi lo ricinge e l'eterno silenzio vi ha suggellata l'unica fontana.
Nulla si muove o vive visibilmente nella preclusa terra. Io vi scorro, solo, a ricercarne gli echi poichè il mio respiro e il battere del mio cuore trovano un respiro, un battito di cuore uguale là, dove solo la mia ombra trascorre.
E non conosco le vie che vi conducono.
Io vi giungo inavvertitamente, a quando a quando, poichè dove io sono non sono, molte volte, e il mio pensiero raminga sul cammino del desiderio, della morte, di ciò che non fu, di ciò che non sarà mai. Così il dolore mi ha fatto un giardino di anemoni e gigli senza una fonte, senza un ruscello, senza un alito di vento: chiuso ed infinito. Tutta la vita mia è là dentro, la riconosco, la mia vita interiore, quella che nessuno seppe, che nessuno saprà mai è là dentro fra le alte mura di diaspro sanguigno. Ed io vedo me stesso in ogni cosa; vedo ciò che nacque di me come la ninfea dal limo, come la fiamma e la colonna di fumo dall'aspro ceppo; ritrovo ciò che fu mio, ciò che accarezzai, ciò che mi disse: - Cammina! - ciò che mi aggrovigliò nello spasimo del non potere. Tutta la mia vita interiore di tanti anni: dalla incosciente gioia alla gioia cosciente; dalla tristezza indeterminata al dolore profondo; tutta la mia vita nelle sue lotte, ne' suoi spasimi, nelle sue elevazioni, ne' suoi desideri, ne' suoi sogni, nel suo amore non può più smarrirsi, non può più disperdersi perchè il dolore l'ha chiusa nel suo incantesimo in un paese ch'io non so, dove giungo inavvertito. E quando tu vedi quasi atone le mie pupille e mi chiedi:
- Che pensi?
Ecco io sono laggiù, vecchio mio, io non ho udita la tua parola, ho dimenticato la tua presenza, io non son più dove sono: come un viandante costretto ad errare, il mio pensiero ha preso un cammino ignoto a me stesso.
Puoi tu condannarmi? Puoi tu dirmi: ti trovo io tanto lontano quanto più credevo di averti da presso? - Certo nessuno più di me ti ama, vecchio Faunus; nessuno intende, come io intendo, quale sconfinato amore ti abbia tratto dal tuo silenzio per le genti che si ridestano e che tu vuoi trarre su le grandi vie di un tempo; ma non si cancella ad un tratto un'orma secolare e il tuo discepolo non è sempre come tu vorresti, non così stoico, non così forte, non così fermo in sé stesso come tu vorresti.
Pure sorridi e perdoni, tu che m'intendi, poichè nulla ti è occulto di questo mio mondo.
Ed io riprendo il mio viaggio verso il giardino che eternamente rifiorisce, che non conosce periodici sonni, che, dopo la mia morte, nel tempo infinito, starà come stanno le forze immanenti dalle quali ha origine il gran mare degli esseri e delle forme.
E laggiù vive il mio amore dai grandi occhi atoni e vuoti. Isolato laggiù dalle alte mura di diaspro sanguigno, sogna, il mio amore, il mio triste amore che e non vive e non potrà vivere mai.

(Da "I canti di Faunus" di Antonio Beltramelli)


Aladár Kacziány, "Garden"

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