giovedì 2 gennaio 2014

Pellegrinaggio invernale

L'altro giorno - non so da qual coraggio
l'anima a un tratto mi sentissi invasa -
son tornato a la tua piccola casa
coi miei ricordi, in pio pellegrinaggio.

Sono tornato quasi in sogno: attratto
da quel senso che si compiace e appaga
come di un gioco, di inasprir la piaga,
di ravvivarla, in fondo al cuor disfatto.

Varcato il fiume, presi, lento, lento,
a salir per la via de la collina:
splendeva il sole e tanta era la brina
che ogni ramo parea quasi d'argento.

Ho rivista la panca, tutta verde
di musco; il ponticello; la fontana
ghiacciata: più non canta in voce umana
e solo a goccie giù l'acqua disperde.

Giunsi e varcai la soglia: che deserto,
il giardino! che schianto! le tue rose,
morte! e i gerani! quante morte cose!
Una donna è venuta, che mi ha aperto.

Son salito a la tua camera: nuda
come un sepolcro, tutto chiuso, oscuro!
proprio di fronte al letto, contro al muro
sai che ho trovato? una donnetta nuda!

Quella ch'io t'ho mandato, e su cui c'è
scritto... ma tu lo sai cosa c'è scritto!
io me la son ripresa, zitto, zitto,
se non ti spiace, la terrò con me.

Son ridisceso, errando pel giardino
vivo sol di memorie, quasi un'ora.
La vecchietta mi ha chiesto - E la Signora? -
Non risposi: rimasi a capo chino.

Pure comprese: tentennò la testa,
poi disse piano, ma in tono profondo:
- Come l'estate passa presto al mondo!
Solo l'inverno e la miseria restano! -

Che tristezza, che angoscia, nel ritorno!
Guardava io pei giardini ampi e deserti,
e tutti i luoghi mi pareano esperti
di tradimento e di pietà, quel giorno!

Cadea la sera. In basso, fra le brume,
per le tremule fiamme dei fanali,
si costellava la città di opali.
Qualche bagliore si frangea, nel fiume.

Pur, mentr'io mi sentiva il cor più stretto
da le angoscie de la malinconia,
vidi due amanti, a basso de la via,
salirne verso me, lenti, a bracetto.

Pensai - Forse ridesto da l'eterno
rimpianto, il sogno di qui mi fa ritorno? -
Ma lei diceva - Già declina il giorno:
che peccato che duri ancor l'inverno!

- Ascolta, amico, ascolta! - Ebben, che vuoi? -
- Quanta serenità! che bella sera!
ritorneremo questa Primavera?
- Cara! - ei ripose - E prima, certo! - e poi!

(Carlo Chiaves)





Il discorso del Chiaves è quello tipico del borghese del suo tempo, scontento (di sé e del suo tempo): dice non solo della difficoltà dei rapporti interpersonali, ma anche del disaccordo che viene risolto sacrificando il reale, nonché una reale comprensione delle ragioni del reale, in favore del mentale e dello psichico, estremo rifugio dell'Io. Donde il tentativo di trarre in salvo alcunché, scrivendone come sostituzione svalutante/rivalutante (l'estrema serietà, se non drammaticità, dell'ironia). Gli oggetti verranno allora registrati per la loro valenza simbolica, La vecchia porta per lo stato di separatezza ed esclusione, La pietra corrosa per la trasformazione di perdita; fino a renderli i feticci di una fattualità irrecuperabile (la tua scarpa rossa, / uno spillone, un solo guanto, un velo in Pellegrinaggio invernale), gli emblemi della frustrazione (la villa chiusa come impenetrabilità e impossibilità di possesso).

(Glauco Viazzi in "Dal simbolismo al déco")

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