giovedì 24 gennaio 2013

La tristezza dell'abete


Arduo da cinquecento anni su questo
Balzo! Sonora bulica la valle:
Qui odo in terra, nel silenzio agresto,
Ruzzolare le mie fragili galle.

A volte, su la chioma aspra, un rombazzo
D'ali e di strida, un turbinio di piume
Sparpagliate per l'aria, uno svolazzo
Rapido; e neri nel solfureo lume

Del tramonto si spianano due falchi
In tarde rote spaziando. L'ombra
Sale più fosca per i vacui palchi
Che gran frondura inutilmente ingombra.

Ma non un nido mai ch'émpia di festa
Rissosa, a' primi fiati marzolini,
La vecchia anima mia, severa e mesta
Come una casa vuota di bambini.

Non una mandria che frescheggi al rezzo
De' lenti ombrelli miei, biasciando in pace,
Mentre divampa il solleone a mezzo
Luglio, e vibrante la campagna tace.

E né pure una róncola che i rami
Odorati m'abbatta, onde potessi
Gajo fiammando stirizzire i grami
Bifolchi curvi in lor gabbani spessi

Sul fuoco: un incessante scarpiccìo
Di pioggia, dietro l'uscio: alla lucerna
Donne filano, e alcuna in suo desio
Pensosa, canti con sospiri alterna.

Nulla. L'immensità: cerula, eguale,
Impalpabile. Il vento, con sue frotte
Labili varca, e qualche iniziale
Musica reca in sue sillabe rotte,

Nell'ombra intenta gli astri calmi e fissi
Mi guatano, e stillare io me ne sento
L'infinita scienza degli abissi.
La sacra verità del firmamento.

Ma non basta Orione a farmi lieto
Come il trillo d'un tinnulo usignolo
Qui presso; e gemo nel mio cor segreto
D'essere troppo eccelso e troppo solo.

(Giovanni Alfredo Cesareo)



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