venerdì 9 novembre 2018

Er testamento d'un Arbero


Pur non essendo io un appassionato di poesia dialettale, ho voluto riportare una bella lirica di Trilussa (Roma 1871 - ivi 1950), poeta romano che usava questo pseudonimo anziché il suo vero nome: Carlo Alberto Salustri, e che scriveva i suoi versi in dialetto romanesco. Le sue migliori caratteristiche erano l'ironia che, spesso e volentieri sapeva trasformarsi in comicità pura; una malinconia  che sempre o quasi scaturisce dalla massima finale dei suoi componimenti poetici, e infine una fantasia senza confini, grazie alla quale riusciva a far parlare animali e piante, perfino oggetti, senza che il lettore rimanesse per questo sbalordito. In fondo, molte sue poesie non sono altro che brevi favole, il cui finale è però, ben più amaro di quelle reali. In questi versi si parla di un albero che, sentendo prossima la sua fine, chiama a gran voce gli uccelli circostanti, e ad essi detta il suo testamento: Lascia tutti i suoi fiori al mare, tutte le sue foglie al vento, tutti i suoi frutti al sole e tutti i suoi semi agli uccelli stessi, che fanno da testimoni alle sue ultime volontà e che hanno il merito di aver rallegrato l'arbusto coi loro canti nei giorni della primavera. I rami secchi invece, serviranno per fare un bel fuoco in inverno, quando i poveri non hanno di che scaldarsi; soltanto un ramo, però, dovrà essere risparmiato dalle fiamme: un ramo che sarà consacrato e custodito in nome di Dio e della bontà degli uomini. Questo ramo, semplice e modesto, ha un merito che nessuno conosce, se non l'albero: si è dimostrato forte e robusto abbastanza per sostenere un uomo onesto che vi si è impiccato. Ecco, infine, l'amarezza citata in precedenza, che si ha leggendo questi ultimi versi: un uomo onesto, ha deciso di togliersi la vita, e nel mondo, nella società dove viveva, l'unica entità che non lo ha tradito è stata quel ramo, che generosamente lo ha sorretto nel momento in cui se ne andava per sempre.


ER TESTAMENTO D'UN ARBERO

Un Arbero d'un bosco
chiamò l'ucelli e fece testamento:
- Lascio li fiori ar mare,
lascio le foje ar vento,
li frutti ar sole e poi
tutti li semi a voi.
A voi, poveri ucelli,
perché me cantavate le canzone
ne la bella staggione.
E vojo che li stecchi,
quanno saranno secchi,
fàccino er foco pe' li poverelli.
Però v'avviso che sur tronco mio
c'è un ramo che dev'esse ricordato
a la bontà dell'ommini e de Dio.
Perché quer ramo, semprice e modesto,
fu forte e generoso: e lo provò
er giorno che sostenne un omo onesto
quanno ce s'impiccò.

(da "Poesie scelte", Mondadori, Milano 1993, volume primo, p. 211)




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