Pur non essendo
io un appassionato di poesia dialettale, ho voluto riportare una bella lirica
di Trilussa (Roma 1871 - ivi 1950), poeta romano che usava questo pseudonimo
anziché il suo vero nome: Carlo Alberto Salustri, e che scriveva i suoi versi
in dialetto romanesco. Le sue migliori caratteristiche erano l'ironia che,
spesso e volentieri sapeva trasformarsi in comicità pura; una malinconia che sempre o quasi scaturisce dalla massima
finale dei suoi componimenti poetici, e infine una fantasia senza confini,
grazie alla quale riusciva a far parlare animali e piante, perfino oggetti, senza
che il lettore rimanesse per questo sbalordito. In fondo, molte sue poesie non
sono altro che brevi favole, il cui finale è però, ben più amaro di quelle
reali. In questi versi si parla di un albero che, sentendo prossima la sua
fine, chiama a gran voce gli uccelli circostanti, e ad essi detta il suo
testamento: Lascia tutti i suoi fiori al mare, tutte le sue foglie al vento,
tutti i suoi frutti al sole e tutti i suoi semi agli uccelli stessi, che fanno
da testimoni alle sue ultime volontà e che hanno il merito di aver rallegrato
l'arbusto coi loro canti nei giorni della primavera. I rami secchi invece,
serviranno per fare un bel fuoco in inverno, quando i poveri non hanno di che
scaldarsi; soltanto un ramo, però, dovrà essere risparmiato dalle fiamme: un
ramo che sarà consacrato e custodito in nome di Dio e della bontà degli uomini.
Questo ramo, semplice e modesto, ha un merito che nessuno conosce, se non
l'albero: si è dimostrato forte e robusto abbastanza per sostenere un uomo
onesto che vi si è impiccato. Ecco, infine, l'amarezza citata in precedenza,
che si ha leggendo questi ultimi versi: un uomo onesto, ha deciso di togliersi
la vita, e nel mondo, nella società dove viveva, l'unica entità che non lo ha
tradito è stata quel ramo, che generosamente lo ha sorretto nel momento in cui
se ne andava per sempre.
ER TESTAMENTO
D'UN ARBERO
Un Arbero d'un
bosco
chiamò l'ucelli e
fece testamento:
- Lascio li fiori
ar mare,
lascio le foje ar
vento,
li frutti ar sole
e poi
tutti li semi a
voi.
A voi, poveri
ucelli,
perché me
cantavate le canzone
ne la bella
staggione.
E vojo che li
stecchi,
quanno saranno
secchi,
fàccino er foco
pe' li poverelli.
Però v'avviso che
sur tronco mio
c'è un ramo che
dev'esse ricordato
a la bontà
dell'ommini e de Dio.
Perché quer ramo,
semprice e modesto,
fu forte e
generoso: e lo provò
er giorno che
sostenne un omo onesto
quanno ce
s'impiccò.
(da "Poesie
scelte", Mondadori, Milano 1993, volume primo, p. 211)
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