martedì 10 settembre 2013

Settembre antico

Ogni anno io torno. Io cerco in queste pure
giornate del settembre, una giornata
serena, ma di un vel tenue velata,
non grigia no, ma non azzurra pure.

Che dolcezza il settembre chiaro induce;
tutto è più chiaro e ha tinte di cristallo;
e il verde è un verde che trapela il giallo
leggerissimamente nella luce.

Un presagio di morte erra per l'aria:
il sole è caldo, ma la sera appressa:
palpita già nell'ombra una promessa,
fredda promessa all'ombra solitaria.

Cognite vie, sentieri ove il mio piede
si attarda: e con lui va l'anima mia;
o morta giovinezza, o poesia
morta, e morta con loro o fede, o fede,

come vi trovo ancora in questa mite
ora d'autunno... Ombre, salite: io passo:
sentite voi dal buio ove dormite,
l'eco leggera del mio lento passo?

Mi sembra ancor di camminare come
in qualche sera di un novembre morto:
fa freddo, ed ella ha un poco il viso smorto,
treman nel vento le sue bionde chiome.

Come mai siamo fuori a tarda sera?
Gli altri son dietro, i grandi... Ecco, li udiamo
cantare... Noi si va: noi non cantiamo...
Novembre: l'aria è fredda: ella è leggera...

Stringiti al braccio mio, stringiti ancora,
o fanciullina, stringiti più forte:
or ch'io cammino alla mia fredda sorte
perchè presso non t'ho più come allora?

Oh la villa! Ben questa è come allora...
Noi non ci siamo più: vuota, mi pare...
Chiusa è la porta: tra le imposte chiare
qualche geranio rifiorisce ancora.

Le belle sere d'autunno... Sai,
suonano ancora le campane, a sera...
Chi mai dice il rosario in primavera?
Ma il dì de' morti ne abbiam detti assai.

Ti ricordi il rosario? E le mondine?
Addio, sogni, addio, preci... Io non vorrei
che voi rideste, o amici, o amici miei,
di queste tenerezze settembrine.

Passiam, passiamo... Per la via ben nota
suona il mio piede, e canta un uccellino:
il ciel fiorisce cerulo e carmino,
petali galleggianti in acqua immota...

Che dolcezza, che pace! O autunno, o mio
fedele amore, o mio costante amico,
guardi tu pure il giovanetto antico
con quel tuo sguardo luminoso e pio?

Guardi e compiangi? L'anima lo crede:
sento le foglie stridere, se venta:
una ne cade, lenta lenta lenta:
trema un istante: e mi si posa il piede.

(Da "Il convegno dei cipressi" di Cosimo Giorgieri contri, Galli di Chiesa, Milano 1895)




Una profonda malinconia emerge nella poesia "Settembre antico" di Cosimo Giorgieri Contri. Malinconia mista a nostalgia di un passato che non può tornare. Fa da sfondo un paesaggio di fine estate che il poeta pare voglia trasformare, grazie a vecchi ricordi, in autunnale. Riaffiorano infatti nella sua mente alcuni momenti felici dell'infanzia, quando a novembre passeggiava in quegli stessi luoghi in compagnia di una "fanciullina" che ha perso di vista da tempo. E riemergono le speranze, le gioie e la spensieratezza di quegli anni che sono oramai un lontano ricordo, poiché il poeta ora vive in uno stato di grande tristezza, senza slanci e senza emozioni; per tal motivo ripercorre i sentieri dell'età felice, rivisita i luoghi dove ha vissuto emozioni indimenticabili, provando sentimenti di accorato rimpianto e di compiaciuta mestizia. Oltre che crepuscolare, questa poesia di Giorgieri Contri può essere definita leopardiana per elementi che affiorano senza mezzi termini lungo tutto il componimento come l'intensa malinconia, il rimpianto della fanciullezza e la tristezza inconsolabile.